Domenico, Giovanni, Antonio, Pietro, Carlo, Francesco, questi sono solo i primi nomi dei padri e dei loro padri che mi portano indietro fino ai primi anni dell'800, più di due secoli di paternità in una semplice lista di nomi.

Papino, Papi, Papìn bèl, Papà, Padre, Signore, l'evoluzione stessa degli appellativi con cui nei secoli ci rivolgiamo a loro è radicalmente cambiata e ciascuno di quei nomi inquadra un'epoca, ciascuno è stato figlio (e padre come interprete) della propria epoca; ma ad ognuno di loro dobbiamo essere egualmente debitori, poiché a modo loro sono stati papà e ci hanno condotto ad oggi in una incessante staffetta di vita, fatiche e gioie.

In campagna, o in genere nelle famiglie contadine ed operaie, il papà è sempre stato sinonimo di “lavoro”; i papà che vi ho elencato hanno lavorato nei campi o come mastri muratori per generazioni e hanno tramandato il “lavoro” di padre in figlio, il legame con la Terra, il rispetto per essa e dei suoi cicli vitali in una proficua simbiosi tra Uomo e Natura.

A Domenico, Giovanni, Antonio, Pietro, Carlo e Francesco devo essere grato per l'eredità trasmessa, un'eredità fatta non di sola genetica; e io? E voi? Che cosa trasmetteremo quando saremo padri a nostra volta?

Quando abbiamo perso questo legame con la Terra, le cose vere e non gonfiate ad arte dal Marketing e dagli chef in TV, quando abbiamo smesso di emozionarci nel toccare la terra fresca appena solcata da un aratro riempiendoci i polmoni del suo caratteristico profumo? 

Quando abbiamo iniziato a guardare con terrore o noia alle galline da accudire o all'orto da coltivare?

Sappiamo com'è il riso (di cui ci nutriamo) in campo, che forma e colore ha? Ci abbiamo mai camminato in mezzo o lo abbiamo mai toccato con mano? 

La pandemia indubbiamente ha suonato una campana di allarme a moltissimi, che improvvisamente si sono sentiti schiavi delle stesse comodità, per cui si è magari lottato e alle quali si sarebbe preferita una vita in campagna,  un orto da coltivare e delle galline da accudire, o una risaia in cui camminare.

Ebbene, per me il Papà è sempre sinonimo di Terra, di braccia cotte dal sole nelle risaie d'Estate, di stivali e cosciali imbrattati di fango, di magliette madide di sudore con uno stuolo di zanzare a farci la ronda attorno, di passione e abnegazione al proprio lavoro e alla propria Famiglia. 

La speranza è che il ritorno alla Natura, alla Campagna, alla Terra e alla sua straordinaria Biodiversità, a cui stiamo assistendo in questi mesi, non sia solo una moda passeggera, frutto di una fuga dalla prigionia forzata fra Netflix, postazioni di Smart Working e tapis roulant.

Riappropriamoci dei valori dei nostri papà e facciamoli nostri, reinterpretandoli e calandoli nella nostra epoca; forse solo così, quando magari il mio sarà l'ultimo di quella lista di nomi, lo percepirò più degno di essere associato alla parola “papà” accanto a tutti quegli Uomini.

Buona Festa del Papà, a partire dai nostri soci Domenico, Fabrizio e Silvio che sono Uomini di Campagna, di Terra e di Famiglia, che sono Papà, e che sono anche i Papà adottivi del nostro riso Razza77, esempio concreto di recupero delle tradizioni e della biodiversità.

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